-------------------------------------------------------------

Convegno del 21 gennaio 2005

31/05/2005

Il ruolo della Pontificia Università Gregoriana nel sostegno alla formazione e promozione dell’etica.

P. Josip Jelenić, S.J.
Decano della Facoltà di Scienze Sociali

 
         P. Josip Jelenić, S.J.
Decano della Facoltà di Scienze Sociali
 
 
Il ruolo della Pontificia Università Gregoriana nel sostegno alla formazione e promozione dell’etica.[1]
 
Introduzione
Alla base di questo mio intervento vorrei porre il contesto attuale in cui stiamo vivendo. Come studioso dell’azione delle persone nei loro ambienti, non posso non sottolineare che stiamo percorrendo un sentiero di insicurezza o precarietà che accompagna “la condizione post-moderna” nella quale l’uomo contemporaneo consciamente o inconsciamente è chiamato a vivere.[2]
Tale condizione, che è certamente esplosa dopo il crollo delle grandi ideologie, ha provocato la crisi delle razionalità moderna che ha portato alla negazione di ogni valore assoluto e alla frammentazione della percezione della storia stessa. Questo andamento delle cose ha messo in dubbio tutto quello che abbiamo pensato e fatto finora.
Può darsi che si tratti di un tempo di transizione che ci spinge (e mi auguro che ci spingerà davvero!) – proprio per l’assenza di una ragione forte a fondamento della verità e del bene comune universalmente riconosciuto – alla ricerca dei valori e delle norme morali che potrebbero ormai coinvolgere e obbligare tutti. Poco o nulla valgono le riflessioni di teologi, canonisti, filosofi e scienziati di fronte al mondo che è esploso in una multi-variegata confusione di frammenti culturali e che rende vano qualsiasi sforzo per ricondurli ad unità. La nostra realtà somiglia a un “mosaico disordinato”: abbiamo i pezzetti necessari, ma non abbiamo l’immagine. Manca la composizione, l’insieme, l’anima. Manca il principio vitale, manca l’ordine, mancano i valori veri. In altre parole, si tratta dell’eclissi del bene morale o meglio dell’etica, come valore universale ed eterno che nei tempi ha sempre orientato e confortato gli uomini nella storia e nelle fatiche quotidiane.[3]
Siamo, cioè, caduti nella trappola del relativismo storico e dell’indifferentismo etico, dove tutto è permesso, dove tutto è lecito purché rispetti la categoria del bello, dell’esteticamente piacevole, dell’emotivamente condivisibile, dell’utile. Questa è la trappola del labirinto morale che la post-modernità ha costruito e nel quale ci troviamo a vagare insicuri.
Sono convinto che, per uscire da tale labirinto morale, l’unica arma potente e la bussola sicura da seguire sia il credere che l’etica razionale possa ancora costruire una via d’uscita e che la ragione sia pur sempre una facoltà preziosa e irrinunciabile in questa atmosfera di disorientamento.
D’altronde solo nell’etica razionale possiamo fondare il sistema pluralistico che guidi la ragione pratica, vale a dire quel complesso di principi, di valori e criteri sul modo in cui dovrebbero essere organizzate una società aperta e le strategie comportamentali dei suoi appartenenti. In tal modo, l’etica razionale può evitare il rischio relativistico: se concepisce il complesso pluralistico come dialogo morale che implichi un ordinamento dei valori. Ovviamente un ordinamento dinamico e non definitivo, ma sicuramente determinante.
In altre parole, possiamo dire che la ragione pratica deve saper convivere con il pluralismo, senza però rinunciare alla tensione verso l’oggettività della norma e alla difesa di una scala di valori, di criteri di giudizio e di principi, pur avendo chiaro che, nella realtà storica, tutto vive all’interno di un dinamismo costante di crescita e di rinnovamento.
A tale proposito possiamo ricordare il percorso fondazionale di Lonergan, secondo cui il cammino dell’uomo prevede tre conversioni, una intellettuale, una morale e l’altra religiosa, ponendo sempre l’etica al centro di ciascun percorso umano.
 
1. Il ruolo delle Scienze Sociali.  
Tutto questo discorso sfocia in maniera naturale nel titolo di questa relazione: “Il ruolo della Pontificia Università Gregoriana nel sostegno alla formazione e promozione dell’etica e, in particolar modo, della Facoltà di Scienze sociali”. E’ fuori dubbio che sia l’Università, sia la Facoltà ha una responsabilità ineludibile di mirare alla formazione delle coscienze.
Il sapere dell’uomo è ben riconosciuto ormai anche a livello economico, ma esso è innanzitutto patrimonio dell’umanità, perchè un uomo che sa ed è cosciente del suo sapere è il presupposto, la speranza per il futuro di altri uomini. Senza speranza la ragione non potrebbe “volare”. Ma senza la ragione, la speranza non avrebbe una direzione, non avrebbe un senso.
Riguardo alla coscienza umana, il ruolo dell’Università e, in particolare per me, quello delle Scienze Sociali, è proprio di richiamare i fondamenti del sapere per dare a ciascuno la propria dimensione umana, la propria visione antropologica che può contrapporsi alle tentazioni prima accennate, e vale a dire la tentazione di cadere nel minimalismo, di guardare le cose e affrontarle come in un eterno presente, rifiutando il passato, ma anche, per la stessa ragione, il futuro, in un’idea di presentizzazione totale. Oppure la tentazione di rinviare o delegare tutto a un orizzonte infinito, distante e irraggiungibile non dando alcuna importanza all’azione quotidiana, alla routine, alla realtà dell’oggi. Insegnamento importante è saper leggere i segni dei tempi e dare risposte coerenti con la propria responsabile implicazione personale.[4]
Un altro importante compito nella formazione delle coscienze è quello di trovare un giusto equilibrio tra l’orizzonte del futuro disegnato dai propri valori e l’oggi che si presenta come una catena di fatti concreti a volte percepiti come vincoli.
Quindi, è ruolo dell’Università e della Facoltà impostare la finalità della ricerca della propria coscienza attraverso percorsi intellettuali diversificati, tendenti a privilegiare i diversi livelli: quello didattico dell’insegnamento del come fare, quello scientifico della verifica oggettiva dell’ipotesi, quello metodologico del sistema di apprendimento e, infine, quello accademico in quanto evoluzione del pensiero degli studiosi.
Tutto ciò ci aiuta ad attivare un apprendimento concreto della scala dei valori che permette di evitare sia l’integralismo e l’estremismo di chi crede che i valori vadano vissuti direttamente e tradotti in comportamenti senza mediazione alcuna, senza venire a patti con la vita e con la realtà in una sorta di astrazione “limbica”; sia il gradualismo esasperato, la prudenza a oltranza che cancellano qualsiasi orizzonte perchè non solo non lo si vede, ma neanche lo si cerca. Altrettanto va evitato sia l’intimismo integralista che portassi all’immobilismo per paura di sporcarsi le mani, sia il pragmatismo del “fine che giustifica i mezzi”, pur di ottenere un risultato.
Quindi è ruolo dell’Università e della Facoltà plasmare la correttezza della coscienza, nella ricerca della verità e con ciò far compiere all’uomo un salto qualitativo che passi dalla visione ontologica a quella etica (Levinas), vale a dire che smetta di vedere solo nel proprio io la misura di tutte le sue decisioni e consideri, invece, il bisogno dell’altro come nuova misura etica.
 
2. Portare avanti l’eredità ricevuta.
In tale contesto, è mio compito, come decano attuale della Facoltà di Scienze Sociali, continuare il lavoro iniziato dal R. P. Bernal, il decano che mi ha preceduto, lavoro mirato alla formazione integrale degli Studenti e cioè:  formazione umana, secondo riferimenti certi, secondo verità non auto-formulate, ma raccolte e trasmesse in un tessuto di fiducia e verso obiettivi di verità.
Le Scienze Sociali, per naturam, sono chiamate a capire, comprendere e aiutare a formare la realtà sociale, politica ed economica che è in continua e profonda trasformazione sotto la spinta di almeno cinque sfide congiunte:
1. La prima è la globalizzazione, che ha cambiato la nostra realtà imponendoci l’accettazione di modelli di tempo e di complessità a volte inconcepibili.
2. La seconda è l’individualizzazione che determina tre modelli quali l’affrancamento, la perdita di stabilità e il tipo di controllo, comportando nello stesso tempo individualizzazione e standardizzazione che si manifestano in un nuovo carattere abbraccia gli ambiti separati della sfera privata e delle diverse aree della sfera pubblica. Non si parla più di situazioni prettamente private, ma sempre più di situazioni istituzionali, dove il privato è l’emblema, il modello istituzionale. Ciò è facilmente comprensibile se pensiamo agli uomini politici o mediatici più in vista, grazie ai mass media, che divengono modelli per la generalità delle persone. Oppure alle indagini di mercato in cui si individua il profilo del consumatore nelle sua caratteristiche personali, familiari, psicologiche, sociologiche ecc., ponendo spesso in evidenza a quale profilo appartengono le personalità più conosciute. Tali situazioni implicano pertanto una doppia facciata e veicolano il proprio privato nell’istituzionale rendendo gli individui affrancati e, insieme, dipendenti dal mercato del lavoro e perciò dipendenti dalla formazione, dalle capacità di consumo, dalle norme socio-giuridiche e dagli interventi assistenziali, dalle pianificazioni del traffico, dalle offerte di consumo alle possibilità e modalità di assistenza medica, psicologica e pedagogica. Quindi soggetti a un tipo di controllo specifico. Ecco come l’individualizzazione diviene la forma più progredita di socializzazione dipendente dal mercato, dal diritto creato da leggi ad hoc, dalla formazione ecc.
3. La terza sfida è costituita dalla disoccupazione di cui non ho bisogno di approfondire il concetto se non per dire che le disuguagliane sociali, a causa della disoccupazione, aumentano in maniera terrificante; che i redditi degli statali, degli impiegati, degli operai e dei pensionati tendono a muoversi al ribasso rispetto al costo della vita, specialmente dopo l’introduzione dell’euro che ha comportato confusione psicologica nel valore attribuito al propro reddito e alle proprie spese.
A questo si accompagna un restringimento delle opportunità di lavoro, che contrappone a quella parte di lavoratori ancora beneficiari di contratto a tempo indeterminato, la crescita di una quantità di persone che non può più essere chiamata minoranza, che gravita nella zona grigia della sottoccupazione, dell’occupazione temporanea e della disoccupazione permanente, che vive dei sempre più scarsi sussidi pubblici e di lavoro informale (lavoro al di fuori del mercato, lavoro nero ecc.). Pertanto l’individualizzazione di cui parlavamo, non contraddice, bensì spiega ciò che caratterizza tale nuova povertà.
La disoccupazione di massa nelle condizioni dell’individualizzazione si abbatte sulle spalle dei singoli come un destino personale. Essi devono affrontare da soli una situazione che soltanto una diecina di anni fa si aiutavano a sopportare offrendo e tramandando controinterpretazioni e forme di difesa e di sostegno. In situazioni di vita individualizzata, il destino collettivo è diventato in primo luogo destino personale, destino singolo, la cui consistenza sociale viene percepita solo a livello statistico, ma non più è vissuta come tale. Giustamente rileva Beck: “L’unità di riferimento su cui cade il fulmine (della disoccupazione e della povertà) non è più il gruppo, la classe, il cetto, ma l’individuo del mercato nelle sue particolari circostanze.”[5]
Mi domando: Come parlare di solidarietà in un contesto di disoccupazione? Di lavoro precario?
La nostra società per adeguarsi, da un lato al progresso tecnologico e, dall’altro, alla competizione internazionale del costo del lavoro, si sta progressivamente dividendo tra una maggioranza, (ancora?) decrescente di occupati con un posto di lavoro ed una crescente minoranza (ancora per quanto?) di disoccupati, prepensionati, lavoratori precari cosidetti co.co.co., e persone che a causa della loro età o del loro specifico profilo professionale non trovano più accesso al mercato del lavoro.
Tra le ultime considerazioni da portare all’attenzione, è che la disoccupazione nonostante l’alta diffusione, va però poi a concentrarsi soprattutto nei gruppi più svantaggiati rispetto alla posizione lavorativa. Infatti, il rischio di diventare o rimanere disoccupati colpisce molto di più le persone con mancanza o scarsa formazione professionale, le donne, i lavoratori “giovani-anziani” e i giovani al di sotto dei 25 anni.[6]
4. Il quarto rischio è dato dalla cosiddetta rivoluzione dei generi che possiamo sostanziare nell’affrancamento dei ruoli maschili e femminili che, dietro il falso mito della razionalizzazione e dell’emancipazione, crea una confusione di ruoli destinata a destabilizzare la società.
A ciò contribuiscono almeno cinque cause:
a) l’allungamento della speranza di vita (che ha cambiato la struttura biografica, la successione delle fasi di vita);
b) la ristrutturazione del lavoro domestico (nei caratteri dell’isolamento sociale e dell’uso razionale della tecnologia);
c) le misure contraccettive e di pianificazione familiare;
d) l’alta incidenza dei divorzi;
e) e la competitività dei generi (derivante da una uguale opportunità di formazione, per gli uomini e per le donne, che genera un forte conflitto a livello dei percorsi professionali creando una competitività negativa).
5. Il quinto, è il rischio globale del degrado ecologico e della turbolenza dei mercati finanziari. Proprio in questi giorni tali realtà sono state toccate dal triste avvenimento dello Tsunami che ha causato centinaia di migliaia di vittime.
 Da tutti è stato rilevato che il problema grave è la povertà, la povertà che impedisce e che ha impedito a quei Paesi del Sud-est asiatico, di porre riparo all’avvenimento. Il problema, inoltre, è aggravato dal degrado ecologico provocato dallo sfruttamento della natura, dettato da un sistema usa e getta, dallo scempio della guerra, dagli esperimenti atomici sotterranei o sottomarini, attuati in segreto da potenze nucleari, dal buco nell’ozono ecc.
Il problema dei mercati finanziari è caratterizzato sostanzialmente dall’instabilità dei paesi in via di sviluppo che, oppressi dal debito, dimostrano la necessità che gli Organismi posti a salvaguardia della stabilità dei mercati siano rivisitati per aggiornali con i tempi. Ormai la globalizzazione ha dimostrato che gli effetti di una crisi finanziaria sono globali e che si tramutano immediatamente in povertà, laddove solo qualche giorno prima era piena ricchezza.
Pensiamo alle borse che bruciano capitalizzazioni pari a miliardi di dollari e che determinano il fallimento di progetti imprenditoriali anche di grandi multinazionali. Forse una cosa positiva, se così possiamo permetterci di dire, c’è stata: l’emersione di episodi di malversazione e di falsi in bilancio che tenuti nascosti per anni, sono poi venuti prepotentemente a galla. Ciò ha determinato la disperazione di migliaia di persone che ad un tratto hanno perso posto di lavoro, risparmi e pensione. Si pensi al caso Enron, oppure al caso Parmalat e Cirio in Italia, tanto per citare i più eclatanti, dove migliaia d’investitori accusano di essere stati gabbati proprio da quegli Intermediari finanziari, le Banche, che avrebbero dovuto consigliarli per il meglio. Insomma ciò che si rileva è il disappunto di chiunque si trovi a dover affidare il frutto di propri sacrifici a qualcun altro, a prescindere che si tratti di persone o di organizzazioni.
In altre parole e sotto il profilo della carriera, il frutto di anni di lavoro e di approfondimenti professionali, può essere vanificato semplicemente dalla cessione o scissione di un ramo dell’azienda, per motivi di ordine fiscale o cosiddetti di bilancio, ci si può trovare improvvisamente ad appartenere ad un’altra azienda, magari nuova, magari sottocapitalizzata, magari creata ad hoc per traghettare impossibili licenziamenti collettivi.
Inoltre, in termini finanziari, chi ha accumulato con sacrifici i propri risparmi, non sa più a chi affidarli, non ha più riferimenti per quanto riguarda la differenza tra azioni e obbligazioni, tra strumenti finanziari privati e strumenti finanziari governativi. Il risultato è lo stesso: un senso di insicurezza determinato dallo sfilacciamento di quel tessuto di fiducia su cui il sistema si era sviluppato negli anni del dopoguerra.
 
3. Sostegno alla formazione e alla promozione dell’etica.
Vorrei terminare la mia relazione mettendo in chiaro l’impegno della Facoltà di Scienze Sociali a sostegno della formazione e della promozione etica.
Innanzitutto vorrei ricordare, come il mio predecessore ha già sottolineato nel primo Convegno, che la PUG può molto probabilmente vantarsi di essere se non la più antica, senz’altro la più autorevole istituzione nel campo dell’insegnamento delle Scienze Sociali, (dal 1952 la Facoltà di Scienze Sociali!), intese quali scienze umane, considerate dal Magistero della Chiesa. E non solo perché questa Facoltà ha superato ormai i cinquanta anni di attività, ma per la fedeltà al proprio Statuto che indica precisi e rigorosi percorsi formativi, tra cui rientrano la ricerca e l’insegnamento delle scienze sociali, nonché la promozione, anche in collaborazione con altri Enti, delle condizioni per rendere effettivo il diritto allo studio.
L’elemento caratterizzante è che l’orientamento degli Studenti, ai fini dell’iscrizione, è indirizzato non solo e non tanto al completamento della loro formazione filosofica, intellettuale e accademica, bensì specialmente in quest’ultimo decennio, anche agli sbocchi professionali che nel mondo odierno lo studio delle scienze sociali apre, specialmente per coloro che provengono dai Paesi in via di sviluppo.
Tutto ciò in un continuo sforzo di ammodernamento e di aggiornamento dei programmi per rispondere alle istanze del mondo contemporaneo.
Ricordo solo che la maggior parte degli studiosi che si sono cimentati con gli enunciati del Magistero della Chiesa, hanno studiato e/o insegnato in questa Università e che il card. Joseph Hoeffner nella sua prefazione all’edizione italiana del libro La dottrina sociale cristiana faceva notare che già tra il 1926 ed il 1934 frequentava le lezioni di P. Arturo Vermeersch alla “Academia Socialis” della PUG e che venivano svolte esercitazioni sotto la sua guida sui principi della dottrina sociale Cristiana, sull’ordinamento della proprietà, sull’anarchia sociale, sulle classi e la lotta di classe, sul socialismo, tanto per citare qualche tema. Insomma parliamo di circa ottantanni fa! (La Facoltà di Scienze Sociali è stata fondata nel 1951).
E come non ricordare ciò che Pio XII ebbe a dire il 17 ottobre del 1953 nella sua allocuzione Animus Noster rivolta al Senato Accademico ed agli studenti della PUG, sugli elementi costitutivi della DSC. Sottolineava l’importanza della formazione della coscienza in ordine alle difficoltà epistemologiche del discorso etico e richiamava l’attenzione sulla necessità di precisarne gli elementi costitutivi, non viziati dal tendenziale relativismo storico, bensì così come si ricavano direttamente dai pronunciamenti magisteriali e non come si trovano formulati presso vari studiosi che, appartenendo a scuole diverse, hanno sistematicamente spiegato, sviluppato e ordinato il pensiero sociale contenuto nei documenti pontifici, secondo la loro visione, a prescindere dalla Dottrina sociale ufficiale della Chiesa. L’auspicio che formulava era quindi a rimanere saldi, non solo nella trasmissione del pensiero scientifico, ma nche e soprattutto della verità che lo sottende.
 
3.1. I percorsi formativi.
Per quanto concerne i percorsi formativi, è compito della Facoltà di Scienze Sociali, essere attenta alla formazione delle coscienze in una visione teorico pratica, vale a dire che ogni percorso non disgiunge mai il costrutto teorico dell’elaborazione del pensiero, dall’attualizzazione immanente delle diverse teorie, verificandone la percorribilità e la sostenibilità soprattutto nell’intento di creare forze umane, di livello intellettuale elevato, in grado d’alimentare quel motore della crescita e dello sviluppo socio-politico-economico che si chiama sapere.
I percorsi di studio sono sempre stati mirati e dedicano una speciale attenzione allo sviluppo della cooperazione scientifica e della didattica internazionale, orientandola e allargandola prioritariamente alla promozione dei diritti umani e delle scienze sociali, sia per conseguire una migliore integrazione tra le diverse culture, sia per l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa, per la promozione della giustizia sociale e dell’etica socio-economica.
La Facoltà di Scienze Sociali offre quattro indirizzi di specializzazione Dottrina ed Etica sociale, Sociologia, Economia dello Sviluppo, Comunicazione Sociale.[7]   
Corsi che privilegiano sempre e comunque il fondamento etico nei suoi due livelli di contenuto teorico e applicato.
Vorrei anche rilevare che l’esperienza ci ha insegnato come sia importante non solo la scelta dei percorsi formativi, ma anche quella dei docenti i quali hanno sempre dimostrato di saper rispondere pienamente, con le loro capacità, attitudini e competenze al compito loro affidato, sia sotto il profilo accademico che quello umano e morale. La Facoltà, però, non si ferma qui!
 
3.2. Promozione etica.
Per promuovere l’etica, la Facoltà ha cercato di aggiornarsi sui programmi, ha concluso con la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste una Convenzione grazie alla quale sarà possibile un reciproco riconoscimento dei titoli e si potrà lanciare, in collaborazione, per il prossimo anno accademico, un corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche. Il primo Corso del genere a Roma, in cui verrà privilegiato il negoziato etico, il dialogo in situazioni incompatibili, una nuova visione etica, una nuova visione etica delle responsabilità socio-politiche dei negoziatori, una nuova visione negoziale tendente ad evidenziare la maniera di risolvere i problemi piuttosto che arroccarsi sul proprio interesse socio-politico-economico.
         Inoltre, poiché l’etica d’impresa sta divenendo, lasciatemelo dire, terreno difficile, date le molteplici interpretazioni che se ne danno, è prevista l’attivazione di un Corso di perfezionamento per Responsabili etici di funzione e la collaborazione attiva con il Comitato di Promozione Etica al cui Consiglio scientifico diversi Professori della nostra Facoltà partecipano. L’intenzione è proprio quella di creare un Laboratorio permanente sull’etica di impresa, come formulata dalla Dottrina sociale della Chiesa, sull’etica del lavoro e delle altre attività che il Comitato sta promuovendo.
         Anzi mi permetterei a questo punto di lanciare l’idea che tra gli impegni del Comitato o della futura Società, certamente anche con l’aiuto di qualche sponsor di buona volontà, venga considerata l’elaborazione di un Glossario di etica socio-politico-economica, a cui la Facoltà sarebbe lieta di partecipare, per permettere a quanti vogliono attenersi alla Dottrina sociale della Chiesa, di orientarsi in maniera certa ed ortodossa nei vari significati dei concetti magisteriali.
         Vorrei ricordare ancora che, pur se non tenuto dalla Facoltà, ma dall’Istituto di Scienze Religiose, l’Università prevede un programma di Etica Pubblica che si chiama Laikos, come già ha ricordato il P. Rettore, e che si rivolge a quanti, inseriti nei diversi settori della vita professionale o impegnati nel campo culturale, socio-politico-economico, o nel volontariato avvertono l’esigenza di una formazione etica non solo qualificata, ma rigorosamente tale.
         La promozione dell’etica pertanto va considerata sotto il profilo della sua comunicazione chiara e del suo scientifico e qualificato insegnamento, perché le distorsioni, le visioni opportunistiche, le traslazioni striscianti di significato sono purtroppo all’ordine del giorno. Con ciò vorrei dire che l’etica non va confusa con il moralmente buono perché tecnicamente efficiente[8] e neanche con un’etica corrispondente al giuridicamente lecito o al rispetto della norma legale.[9] E neanche, soprattutto, può essere inteso come etico, ciò che si sta verificando in questo periodo che per etico s’intende il consensualmente condiviso, secondo cui è etico tutto ciò che è democratico, perché la maggioranza ha sempre ragione[10], o come relativismo storico, vale a dire che è etico ciò che è storicamente possibile, nel tentativo di traghettare il tutto come etica applicata.[11]
         No, l’etica è tutt’altra cosa e noi cerchiamo di insegnarla nei suoi termini precisi concernenti la realtà socio-politica-economica in un ambito di verità che ci deriva dal Magistero che non teme confronti in quanto è Parola di Verità.
 
Conclusione.
         Per concludere, grazie a tutti voi per aver avuto la pazienza di ascoltarmi su argomenti non sempre facili da comunicare. Grazie a tutti che si sentono coinvolti in un compito così arduo e a quanti vogliono collaborare affinché il tessuto di fiducia possa essere ricomposto, a partire da un elemento importante come la formazione della coscienza umana, i cui valori,, a livello etico, sono riportati nella Dottrina sociale della Chiesa e si riconoscono nella dignità dell’uomo, nella ricerca del bene comune, nella responsabilità personale, nella solidarietà e nella sussidiarietà: questo il messaggio di cui mi faccio portare a nome della Facoltà di Scienze Sociali. Grazie.
 


[1] Si tratta della relazione tenuta durante il Convegno del 21 Gennaio 2005, organizzato dal Comitato di Promozione Etica in collaborazione con la Facoltà di Scienze Sociali, PUG: Verso la certificazione etica alla luce della Dottrina sociale della Chiesa: una sfida per i nostri tempi.
[2] Cf. JELENIC, J., a cura di, Mladi u postmodernoj, FTI, Zagreb 2002.
[3] Cf, GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità, Rizzoli, Milano 2005, pp. 13ss
[4] Cf. GIOVANNI XXIII, Pacem in terris, n. 10. Sulla responsabilità personale e sociale, vedi CONCILIO VATICANO II, Dignitatis humanae, n. 7b.
[5] Cfr. BECK, U., La società del rischio, Carocci Ed., Roma 2000, p. 139.
[6] Sulla realtà dei disoccupati in Italia vedi MORI A., Gli esclusi, Sperling&Kupfer, Milano 2001.
[7] E’ in processo di elaborazione il programma di un quinto indirizzo, vale a dire, Scienze Internazionali e Diplomatiche.
[8] Questo concetto viene veicolato con i cosiddetti sistemi di qualità, se la qualità è buona e rispetta gli standards, di solito si dice che la produzione, o il prodotto sono etici.
[9] Infatti qualcuno ha anche affermato che l’etica consiste nel  potere fare ciò che si vuole nel rispetto delle leggi. Senza considerare che se qualcuno o un gruppo, fa una legge a suo uso o consumo, il rispetto della stessa non ha nulla a che vedere con l’etica.
[10] La legge della maggioranza è diventata l’ago della bilancia del comportamento etico. Non è più la verità in se stessa, la verità, ma è la visione che ne ha la maggioranza. Pertanto non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che la maggioranza dice che lo sia.
[11] Anche questo è un problema del nostro tempo, soprattutto in termini di bio-tecnologie e di bio-etica, l’assunto è che nessuno può proibire ad altri ciò che questi, nella loro realtà storica si sentono liberi di poter fare  e disporre. Ecco il problema della fecondazione assistita, dell’aborto, dell’eutanasia ecc.

 

 

 

 

11/06/2023 Convegno 2023
16/01/2018 Corso di etica socio-politico-economica 2018
27/01/2015 Corso di Etica Socio-Politico-Economica 2015

12/02/2005 NON PERDIAMOCI IN UNA GOCCIA D'ACQUA
01/02/2005 Verso la certificazione etica alla luce della DSC: una sfida per i nostri tempi
24/01/2005 Convegno 21 gennaio 2005

 

 

Registrati

 

 

 

Comitato di Promozione Etica: via della Pigna 13a 00187 Roma Tel. 06 6796740
Per contattare l'ufficio Stampa: stampa@certificazionetica.org o 3341281175